Psicoterapia e supervisione sistemica. Alla ricerca delle interfacce: intervista a Antonella Bozzaotra e Giovanni Madonna

Pubblicato il 21 Febbraio 2018

Gli occhi da sempre ce lo insegnano: bisogna essere almeno in due per più opportunamente vedere! Pensate quante maggiori possibilità potremmo avere se fossimo sempre disponibili ad affiancare il nostro sguardo a quello di un altro e a quello di un altro ancora… accettando i nostri limiti ed essendo disposti a rinunciare alla nostra certa “cecità”, allargando i punti di vista. All’IIPR (Istituto Italiano di Psicoterapia Relazionale) Napoli ancora oggi, che sono in procinto di fare l’esame come didatta, mi alleno a coltivare uno sguardo che non finisce mai di stupirsi dei propri limiti biologici e “culturali” e che non teme il dubbio ma che, al contrario, con umiltà coltiva e conserva complessità. E il mio allenamento riprenderà presto il 28 febbraio prossimo quando Antonella Bozzaotra e Giovanni Madonna, didatti dell’Istituto, daranno vita al seminario “Psicoterapia e supervisione sistemica. Alla ricerca delle interfacce”. Un seminario durante il quale i partecipanti avranno un ruolo attivo, prendendo parte alla simulata di una seduta di psicoterapia della “celebre” famiglia Esposito, di cui da anni Antonella e Giovanni sono “psicoterapeuti”: quando periodicamente danno la possibilità agli studenti in psicologia e agli psicologi di sperimentarsi per un pomeriggio come membri di questa “famiglia”, per mostrare loro sul campo il modello d’intervento psicoterapeutico dell’IIPR. Questa volta però il seminario dedicato alla famiglia Esposito s’impreziosirà di una supervisione in diretta della seduta simulata per fare meglio mostrare l’intero processo di un colloquio familiare sistemico-relazionale.

Per l’occasione ho chiesto a entrambi i docenti di rispondere a qualche mia domanda, per meglio far comprendere l’affascinate professione di psicologo-psicoterapeuta della famiglia anche a chi non potrà prendere parte a questa interessante esperienza formativa.

 

Professoressa Bozzaotra perché convocare le famiglie in seduta? Ci parli delle risorse e dei vincoli dell’ intervento con le famiglie.

Innanzitutto grazie per questa intervista, che mi offre la possibilità di riflettere su ciò che quotidianamente faccio come psicologa, psicoterapeuta e formatrice. Mi piace pensare alle domande come alle strade che percorreremo e alle risposte come a quelle che abbiamo già percorso.

Per quanto concerne questa tua prima domanda, c’è una letteratura molto ampia e a quella vi rimando. Qui vorrei prendere un punto di osservazione che riguarda la mia esperienza personale del lavoro con le famiglie. Lavoro da circa trentacinque anni come psicologa, psicoterapeuta e didatta di allievi specializzandi in psicoterapia; faccio questo lavoro sia come dirigente del servizio sanitario nazionale sia come attività libero-professionale. Due ambiti d’intervento che hanno vincoli molto diversi tra loro. In entrambi, lavoro sia con famiglie, sia con coppie, sia con individui. Ciò che mi ha sempre colpito del lavoro con le famiglie riguarda la velocità. Mi spiego meglio. Quando lavori con le famiglie le risorse si attivano più velocemente e vengono utilizzate sia per affrontare i problemi che per metterli da parte. Il lavoro con la famiglia permette di affrontare in breve tempo questioni molto complesse e grandi sofferenze. E poi come spesso ci diciamo “anche un foglio di carta portato in due è più leggero”. Credo che proprio questo sia il più bel punto di forza della psicoterapia sistemica con la famiglia, rendere più leggera la sofferenza.

Antonella, ci parli della coterapia? Qual è il valore aggiunto di questa modalità di conduzione?

La coterapia è una modalità di conduzione delle sedute di psicoterapia della coppia e della famiglia, può essere utilizzata con i gruppi. Non è indicata nell’intervento con gli individui.  Credo che la coterapia sia la modalità dell’intervento sistemico che meglio di tutte incarna le premesse dell’epistemologia cui facciamo riferimento.  Spesso diciamo riprendendo le teorie di Gregory  Bateson, “due descrizioni sono meglio di una” oppure, rifacendoci agli studi sulla visione, diciamo che la visione binoculare “permette di percepire la prospettiva”. Quando conduciamo una psicoterapia utilizzando la coterapia, “noi siamo” due descrizioni, perché ciascuno di noi ha un modo di descrivere quella famiglia, quella coppia che si è rivolta a noi e “due descrizioni” allargano la conoscenza. E poi, ancora, “noi siamo” la visione binoculare, perché ciascuno di noi è un “occhio” che guarda la nostra famiglia, la nostra coppia e creiamo una prospettiva che ne approfondisce la conoscenza. Questo è il valore aggiunto, la possibilità di essere nel qui e ora dell’intervento due descrizioni che percepiscono altre prospettive.

Come si scelgono professoressa Bozzaotra i componenti della famiglia da convocare in una seduta? Se per esempio la famiglia è allargata e i genitori hanno dei nuovi compagni, come si procede?

Dobbiamo considerare che la psicoterapia della famiglia si è sviluppata rifacendosi alla psicologia delle relazioni familiari che aveva come famiglia che andava a descrivere, la famiglia nucleare. I cambiamenti sociali, culturali e legislativi hanno messo noi psicologi e psicoterapeuti della famiglia di fronte alla necessità di considerare le nuove forme della famiglia. La complessità delle famiglie ricostituite, di quelle omogenitoriali e di quelle interculturali interrogano gli psicoterapeuti della famiglia circa le modalità dell’intervento e in particolare dei componenti da convocare. Anche le nuove modalità di essere famiglia nucleare fanno emergere modalità nuove di convocazione e conduzione. Penso per esempio al fatto che alcune famiglie vivono dislocate e non più quotidianamente sotto lo stesso tetto. Allora come fare? Necessariamente dobbiamo ripensare le teorie e ripensandole trovare nuove possibilità di intervento. Per esempio, lo studio dei vincoli legislativi su alcune tipologie di famiglia ci permette di intervenire in maniera coerente con il modello sistemico. Anche le nuove tecnologie ci danno della possibilità d’intervento e penso a quello che dicevo prima a proposito della dislocazione.

 Professore Madonna, il gruppo di supervisione in che modo diviene risorsa per il sistema terapeutico?

Innanzitutto, giova ricordare che il processo della supervisione è di fondamentale importanza in relazione all’esercizio della psicoterapia. Per lo psicoterapeuta, il processo di supervisione coltiva insieme umiltà e attenzione responsabile: l’umiltà di cui ha certamente bisogno per poter considerare il paziente capace di insegnargli qualcosa circa i processi del proprio ammalarsi e del proprio guarire e per poter essere, così, rispettoso e non arrogante nella relazione con lui; e l’attenzione responsabile di cui ha certamente bisogno per poter diventare del suo paziente - per usare le parole di Carl Whitaker – il temporaneo “genitore affidatario”.

Quanto al lavorare in gruppo, va detto che è importante, molto importante, sia nel processo della formazione più in generale, sia nel processo della supervisione più in particolare. Considero il gruppo, per certi aspetti, come un “divisore”. La con-divisione delle difficoltà relative all’apprendimento di un lavoro complesso e di grande responsabilità e la con-divisione della paura di non esserne all’altezza, rende quelle difficoltà e quella paura più lievi e accettabili: “miracolosamente” ciascun membro del gruppo, opportunamente guidato dal supervisore, può alleggerirsi delle sue difficoltà e della sua paura senza appesantirsi di quelle degli altri. Per altri aspetti, considero invece il gruppo come un “moltiplicatore”. Il lavoro comune consente a ciascuno di nutrirsi dell’esperienza formativa dell’altro e di realizzare, per questa via, una crescita personale e professionale che avrebbe richiesto molto più tempo e molto più lavoro se fosse stata perseguita in un setting “individuale” di insegnamento/apprendimento.

Per rispondere all’aspetto più particolare della tua domanda, dirò, infine, che il gruppo di supervisione diviene risorsa – risorsa preziosa – per il sistema psicoterapeutico soprattutto divenendo luogo di conoscenza di esso: mettendosi nel campo di osservazione, cogliendo le informazioni fondate sulla somiglianza (gli isomorfismi, i fenomeni empatici e quelli metaforici) e restituendo queste informazioni al sistema psicoterapeutico, arricchite di senso e di proposte di connessione, perché possano essere più proficuamente utilizzate nei processi della diagnosi e della cura.

 

L’ “idea” di famiglia dello psicoterapeuta, professore Madonna, non rischia di condizionare fortemente il suo sguardo in seduta?

Certo, inevitabilmente. Un’ipotetica idea non condizionata e non condizionante sarebbe un’idea priva di relazioni, e pertanto morta, un’idea che non esiste. Un'idea di famiglia, come qualsiasi altra idea, è parte di un’ecologia di idee e non può essere che così, per tutti, psicoterapeuti e non psicoterapeuti, nel bene e nel male. E se è parte di un’ecologia di idee, un’idea porta con sé i riverberi e i ‘condizionamenti’ delle altre idee con cui è in relazione.

Uno psicoterapeuta ben formato, tuttavia, di questo è consapevole; non ritiene che esistano idee incondizionate e incondizionanti, non ritiene di possedere la verità o la visione oggettiva e, con umiltà, propone le sue idee, condizionate e condizionanti, non per metterle al posto di quelle dei suoi pazienti, ma per metterle accanto a quelle idee, per affidarle alle relazioni possibili e alle possibili generatività. Sarà il processo stocastico a stabilire quali idee - per vie necessariamente imprevedibili – potranno contribuire a generare salute e a prevenire patologia.

 

Giovanni, la psicoterapia familiare con la coterapia sembra suggerire che per prendersi cura di un sistema sarebbe più opportuno essere in più di uno, farsi affiancare nel proprio lavoro. Pensa che ciò si valido anche per altri tipi di processi di cura, come ad esempio quelli messi in atto dall’amministratore di un’azienda o di una città?

Mi fai venire in mente che, nella prefazione al nostro libro[1], Sergio Manghi parla di quella pratica sociale che da 2500 anni chiamiamo ‘politica’ in termini di cura della città. In effetti, la politica - intesa e declinata in senso alto e nobile - è una pratica di cura; e, in quanto pratica di cura, proprio come la psicoterapia, sì, credo che potrebbe giovarsi di una co-conduzione. Del resto la storia ci offre qualche esempio di co-conduzione nell’esercizio dei mandati di governo; penso ai consoli dell’antica Roma (consules: ‘coloro che decidono insieme’). E pure per quel che riguarda l’amministrazione di un’azienda, sì, credo che lavorare e assumersi responsabilità insieme, potrebbe contemperare gli eccessi e contribuire a generare buoni risultati.

 

Roberta De Martino

Psicologa e psicoterapeuta

 

[1] Madonna G., De Martino R., Verso una clinica delle macroecologie L’intervento clinico psicologico nei grandi sistemi viventi: Il caso di Napoli in Treatment, Franco Angeli, Milano, 2017.

 

Psicoterapia e supervisione sistemica. Alla ricerca delle interfacce: intervista a Antonella Bozzaotra e Giovanni Madonna

Scritto da Roberta De Martino

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M
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M
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