Monica Guerritore

Pubblicato il 18 Luglio 2013

Monica Guerritore

Ieri un ragazzino accoltella e dà fuoco a una ragazzina. Ennesima agghiacciante violenza. Non voglio parlare di genere .Voglio parlare di esseri umani che massacrano altri esseri umani. Voglio parlare di dolore, paura, terrore.Questo ragazzino ha immaginato il dolore , la paura, il terrore che deve avere provato la ragazza negli attimi finali, quando ha capito che stava per morire.Ha intuito troppo tardi che un essere umano è diverso dal suo clone sulla rete? I corpi su Internet sembrano vivi, sembrano uguali ai corpi veri ma non hanno paura non pregano di lasciarli vivi e forse gli assassini pensano che non soffrano.
Vedere filmati pieni di violenza, non significa fare esperienza del male che la violenza causa.Lì ci vuole l’interpretazione artistica. Fotografare la realtà non ha lo spessore della realtà e di tutti i suoi effetti, infiniti. Ma dà l’illusione di sapere tutto e in questa illusione di un tutto che non ti colpisce mai, non ti emoziona mai, non ti graffia mai, cresce piuttosto l’indifferenza a tutto.
In una sala cinematografica a Roma davano Il cacciatore di aquiloni,siedono, in ritardo, a film cominciato, un ragazzo e una ragazza. Si stravaccano, mangiano pop corn, messaggiano ininterrottamente coi cellulari. Lui fa il bullo, lei la scema. E disturbano. E il film non lo vedono.
«State calmi» li fulmino dopo un po’. «State calmi e quieti!» ripeto al ragazzino, che mi guarda come se fossi un alieno mentre la ragazzina ridacchia, accucciata scompostamente nella sua sedia manco fosse a casa sua. «Be’?» cerca di interloquire privo di vocabolario. Solo un «be’» generico. «Noi vogliamo vedere questo film, che tra l’altro racconta una grande storia, se a te non va cambia sala e vai a vedere Natale a New York. Capito? Stai buono!» e chiudo.
Ha fatto effetto. Sono stati zitti (obtorto collo) quel tempo che è bastato perché cominciassero a “entrare” nella storia dei due bambini. Zitti anche nell’intervallo. A fine film lui teneva la testa bassa, piangeva. Non si voleva far vedere, l’ho capito e andando via gli ho lanciato un piccolo sorriso. Quel ragazzo, alla fine del film, aveva sperimentato il sentimento del dolore, della sofferenza per il tradimento, per un abbandono, per la guerra, per la solitudine.
La nostra generazione ha imparato ad amare, a soffrire a provare pena per gli indifesi sui grandi racconti, sui grandi film, sulle grandi storie. L’arte parla al cuore delle persone. Al cuore di questi ragazzi chi sta parlando ?
Intenerire e intenerirsi, rendere e rendersi teneri ai colpi subiti e riconoscere negli altri la stessa tenerezza. Questo è un imperativo per dirsi esseri umani. È questo che conta, che dà un senso al nostro vivere insieme. Il mio mestiere richiede come unica dote la capacità di immedesimarsi e questa ha un valore sociale. È attraverso la partecipazione affettiva a un racconto che si forma la conoscenza interiore.
Diceva un grande psicanalista, Franco Fornari: “Il teatro è una serie di effetti per creare affetti”.
Tutti sanno che i fatti vengono memorizzati attraverso il legame che si crea tra due sinapsi nel nostro cervello, ma non tutti sanno che per creare questo legame c’è bisogno di un elemento chimico fondamentale, un liquido che aiuta la trasmissione dell’informazione. Un humus secreto dalle “ghiandole dell’affettività”. Senza calore, senza partecipazione, non si fissa niente nel cuore..
E senza il tempo della riflessione non c’è il tempo di “mettersi nei panni dell’altro” e viverne il sentimento, tutto ciò che si vede resta impresso nella retina, una verità piatta senza spessore, senza profondità. E senza sentimento
Non è solo una questione di donne .E’ una questione di mancanza di commozione. Di umanità. Di tenerezza." (scritto da Monica Guerritore)

Scritto da Roberta De Martino

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